Franco Battiato – Fetus

Franco Battiato è un po’ di tutto, dal mistificatore dei violenti concerti di Pollution al divo pop di “Bandiera Bianca”, eppure la sua camaleontica carriera non nasconde un qualunquismo mediatico, piuttosto una spontanea evoluzione artistica ed umana, all’insegna della perenne fuga dai cliché.

La leggenda di Franco Battiato iniziò abbastanza in sordina, con una serie di importanti collaborazioni (come quella con l’amico Giorgio Gaber, che lo lanciò in un duo pop con Gregorio Alicata) fino all’incontro con il produttore Giuseppe Massara, che aveva appena fondato la sua etichetta Bla Bla, i cui primi frutti collaborativi furono le incisioni – passate abbastanza inosservate – con i Capsicum Red e gli Osage Tribe; poi “nel 1969 arrivò lo shock: ero sul palco di Un Disco per l’Estate e sentii una voce dentro me che mi urlò: “Buttati sull’elettronica!” – fu così che a partire dal 1971, Franco Battiato abbandonò il formato della canzone popolare per dedicarsi completamente alla musica sperimentale, facendo un uso costante di strumenti inconsueti; il risultato fu Fetus (1972) in cui la musica elettronica si fuse col pop, per la prima volta nel nostro Paese: si tratta fondamentalmente di un concept-album scritto in collaborazione con Sergio Albergoni (alias Frankenstein), prodotto da Pino Massara e registrato con l’aiuto di un team di musicisti esperti, tra cui Gianfranco D’Adda, Gianni Mocchetti e Sergio Almangano. Secondo le note di copertina, questo lavoro è completamente dedicato ad Aldous HuFranco_Battiato_-_Fetusxley ed alle sue opere, in particolare “Brave New World” (da qui il sottotitolo “ritorno al mondo nuovo”), un romanzo che anticipava gli sviluppi della tecnologia riproduttiva, dell’ipnopedia e della manipolazione psicologica di una società distopica in cui ogni individuo viene costruito in laboratorio. L’album dispone inoltre di una provocatoria copertina, opera di Gianni Sassi, con un feto poggiato su un rude cartone, che spinse molti negozianti a non esporre il disco: Battiato d’altronde deve una buona parte della sua carriera al dibattito su questioni controverse come l’aborto (in questo caso) o all’inquinamento (il suo successivo Pollution).

La title-track “Fetus” è un breve pezzo in tre parti che inizia con la voce accompagnata da effetti sonori a evocare il battito cardiaco; il suo testo descrive i sentimenti di un bambino che lentamente prende forma nel grembo della madre: “non ero ancora nato che già sentivo il cuore, che la mia vita nasceva senza amore. Mi trascinavo adagio dentro il corpo umano, giù per le vene verso il mio destino“. Un cuore che batte sfocia poi in un roboante sintetizzatore VCS3 (al suo primo utilizzo in Italia, dato che ne erano stati venduti soltanto due esemplari) prima di concludersi in una sezione acustica riflessiva: da questa prima incursione nell’album è chiaro come ormai Battiato abbia abdicato la struttura delle canzoni tradizionali a favore di una sperimentazione minimalista. 
Nella sognante “Una Cellula” si evocano immagini offuscate di un futuro, guidate ancora dal sintetizzatore e dal battito del tom-tom: “viaggeremo più veloci della luce intorno al sole come macchine del tempo contro il tempo che non vuole sarò una cellula, fra motori, come una cellula, vivrò“; molto invitante e calda, questa è una delle canzoni è più semplici nella struttura dell’interno disco ed è stata infatti pubblicata come singolo. Nella suggestiva “Cariocinesi” la musica ed i testi descrivono in modo surreale la magia del processo della mitosi attraverso la quale una cellula si divide in due “cellule figlie”, che risultano morfologicamente e geneticamente identiche tra loro (“un nucleo si divide e due sono le vite e quattro e otto ancora, in giusta progressione“), un meccanismo biologico che è “forse cieco o forse illuminato da memoria senza passato“, ma questa sequenza naturale può essere mutata dall’errore o dal caso, in questa traccia personificati dagli effetti imprevedibili e vivaci del violino jazz, in pieno stile Stephane Grappelli.
Energia”  si mette in moto con la voce di alcuni bambini e la ripresa di un tema di “Fetus”, per poi lasciare spazio a Franco Battiato che viene sospinto dal sintetizzatore su alcune riflessioni riguardo il ruolo del caso nel processo riproduttivo: “se un figlio si accorgesse che per caso è nato fra migliaia di occasioni capirebbe tutti i sogni che la vita dà con gioia ne vivrebbe tutte quante le illusioni“. Fenomenologia” comincia invece con una chitarra acustica che catalizzata uno stato di narcotica inettitudine (“è incerto processo mentale, la voce è marmo e cemento e vivo malgrado me stesso“) poi una seconda parte viene introdotta da tamburi e banjo mentre la voce alienante ripete le formule x1 = A*sen (ωt) e x2 = A*sen (ωt + γ), che possono considerarsi come la sintesi matematica dell’intero tema dell’album, essendo la rappresentazione grafica in due dimensioni dell’elica del DNA.
La tesa “Meccanica” raffigura un laboratorio in cui il gene dell’amore viene manipolato a plasmare una nuova forma di vita con “meccanici i miei occhi, di plastica il mio cuore, meccanico il cervello, sintetico il sapore“. Nella sezione finale è invece possibile ascoltare un estratto delle conversazioni che intercorsero tra l’equipaggio dell’Apollo 11, Neil Armstrong e Edwin Aldrin ed il presidente Richard Nixon, su cui si inserisce l “‘Aria sulla quarta corda” di Bach. L’ Anafase” è propriamente la terza fase della mitosi in cui vi è la scissione dei cromatidi fratelli che migrano poi verso i due centrosomi ai poli opposti della cellula, ma in questo caso i testi e la musica evocano un viaggio interstellare (“varcherò i confini della terra verso immensità, sopra le astronavi, verso le stazioni interstellari viaggerò“), battezzato da un sussurro prima dell’entrata della chitarra acustica e delle armonie vocali sullo sfondo; come di consueto ormai, anche qui la musica svanisce di continuo, sostituita o affiancata dai suoni del synth. La finale Mutazione” sembra suggerire i vagiti e la nascita del feto, i natali di un uomo destinato a vivere in un mondo dominato dal caos: “millenni di sonno mi hanno cullato ed ora ritorno, qualcosa è cambiato. Non scorgo segnale che annunci la vita eppure l’avverto ci son vibrazioni“.

Ricordiamo che Fetus è stato rilasciato all’inizio del 1972, in un inedito mix di melodie struggenti, texture acustiche (chitarra e violino) ma soprattutto uno spaziale sintetizzatore VCS3: anche se non ha avuto l’impatto commerciale del suo secondo album, è stato acclamato dalla critica e riconosciuto come una delle novità più significative del progressive italiano degli anni Settanta, con lo stesso Franco Battiato che otterrà anche un buon giudizio da parte del criticissimo Frank Zappa (che gli regalerà un paio di scarpe con le ali, come i talari di Mercurio). Fetus è indubbiamente un album interessante, più legato alla Kosmische Musik tedesca (sponda Cluster, Kraftwerk e Tangerine Dream) che alla tradizione italiana, e che porta sotto i riflettori i due aspetti che hanno costantemente definito la musica di Battiato attraverso gli anni, nonostante il suo stile sia radicalmente mutato: in primis vi è la sua passione per il minimalismo, in secondo luogo il suo incredibile senso della melodia.

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